Con il dorso della mano, Angie si ripulì il viso dalle ultime lacrime. Pensava di non averne più dopo un anno d'intensa sofferenza, ma evidentemente il suo corpo le riservava ancora delle sorprese.
Era il 10 settembre e malgrado il calendario presagisse l'arrivo dell'autunno, il caldo estivo non concedeva tregua e il termometro esterno segnava 32 gradi.
Dentro casa però l'aria era gradevolmente fresca, grazie al condizionatore che aveva fatto installare due anni prima, principalmente per tutelare la salute di Sally sofferente di crisi d'asma che peggioravano con la stagione più calda.
Sally, la sua dolcissima Sally che era stata strappata al suo amore e dalla vita stessa esattamente in quel giorno, l'anno precedente.
L'aveva concepita a diciassette anni, forse con troppa leggerezza (o forse con troppo amore), assieme ad un suo coetaneo che le aveva giurato amore eterno.
Frequentavano tutti e due lo stesso liceo e si erano subito piaciuti. Amarsi era stato quasi un gioco: un'esperienza nuova per entrambi che, ancora inesperti, avevano spinto un po' troppo oltre. Il tutto era culminato in una gravidanza appresa con stupore da parte di lei, ma che il suo cuore ancora pieno di favole infantili già sognava il matrimonio, la famiglia, e naturalmente il lieto fine.
Non fu così. Il giorno dopo aver confidato la nuova realtà al suo compagno, questi era sparito nel nulla.
Dopo due mesi, ancora incredula e sconvolta, si trovò costretta a rivelare il fatto ai suoi genitori. Estremamente religiosi oltre ad essere facoltosi e rifiutando a priori l'idea di un aborto, dopo l'ovvia reazione che va dallo stupore all'angoscia per sfociare infine nell'impotenza di risolvere quel problema, li portò ad optare per un piano non del tutto originale pur di sottrarsi allo scandalo.
La madre, non ancora quarantenne, assieme alla figlia, si sarebbero spostate in un paesino non troppo distante, ma sufficientemente lontano per celarsi ad occhi indiscreti, dove Angie avrebbe partorito e sarebbe ritornata in città come sorella di quella creaturina nata da poco.
All'inizio la cosa aveva funzionato a meraviglia, ma dopo un anno però, Angie, sentendo Sally chiamare "mamma" la nonna, capì che era tempo ormai di cambiare le cose e di dare una svolta decisiva alla propria vita.
Ignorando le accorate proteste e suppliche dei genitori ormai perdutamente innamorati di quell'esserino, collocò la bimba nell'apposito seggiolino della sua automobile, caricò le valigie e partì.
Dopo aver viaggiato tutto il giorno si fermarono a Sant'Elia, una cittadina abbastanza grande, dove le persone erano troppo occupate a badare ai propri affari per accorgersi di loro due, o per fare domande.
Ormai maggiorenne e con un cospicuo conto in banca, grazie alle premure dei genitori e alla consistente somma di denaro che già dalla sua nascita avevano mensilmente depositato sul suo libretto di risparmio, trovò una piccola casetta con giardino che faceva al loro caso, e l'affittò.
L'anno seguente, lo trascorse dedicandosi totalmente a Sally e alla casa, ma ben presto si rese conto che aveva bisogno di fare anche qualcos'altro; qualcosa che la rendesse ancora più indipendente.
A Sant'Elia c'era un'università, forse non troppo importante, ma il fatto non la preoccupò minimamente: sentiva fortemente la nostalgia dei banchi scolastici.
Adorava lo studio ed era sempre stata un'allieva modello. Quand'era ancora al liceo, le succedeva frequentemente di conoscere le risposte alle interrogazioni dei professori prima ancora che questi finissero di formulare le domande. Per lei era una cosa normale e non capiva perché non succedesse lo stesso anche ai suoi compagni.
S'iscrisse alla facoltà di legge, assunse una baby-sitter a metà giornata e a ventitré anni si laureò, ovviamente, con il massimo dei voti.
Se da ragazzina era stata piuttosto carina, con il passare del tempo era sbocciata in una vera bellezza. Aveva ereditato dalla madre gli stessi capelli biondi che lasciava morbidamente sciolti sulle spalle e dal padre, gli occhi azzurrissimi. Il suo fisico snello non aveva risentito minimamente della gravidanza, anzi, glielo aveva raddolcito riempiendole i seni. Non passava giorno senza che qualche ragazzo le ronzasse intorno o l'invitasse fuori, ma lei snobbava tutti. Non certo per superbia, ma per tutelarsi da quello che aveva passato in precedenza: la lezione che aveva ricevuto, era stata troppo dura.
Intanto, il conto in banca s'era notevolmente assottigliato e rifiutando irremovibilmente le offerte d'aiuto economiche da parte dei genitori, con i quali manteneva unicamente uno sporadico contatto telefonico, trovò un impiego part-time in uno studio legale. Essendo però ancora agli inizi, il salario purtroppo era minimo.
Non raramente veniva presa dallo sconforto per la situazione in cui si trovavano, ma in quei momenti, tutte le sue preoccupazioni venivano miracolosamente spazzate via da un unico abbraccio di Sally, che da sola soddisfaceva tutto il suo bisogno d'affetto.
La bambina aveva ora cinque anni, e i lineamenti del suo visino anticipavano la bellezza della madre. I suoi occhi erano di una tonalità tra l'azzurro e il verde, e mutavano a seconda del tempo o dal suo umore; a volte si scurivano, fino a diventare marrone dorato. I capelli scuri e ricci, li aveva presi indubbiamente dal padre. Era vivacissima e molto intelligente, ed Angie si sentiva la madre più orgogliosa del mondo.
Passavano interi pomeriggi divertendosi con vari giochi e inventandone tanti altri: c'era qualcosa di veramente speciale, quasi magico, che le univa.
Trascorso un altro anno, ormai ridotta sul lastrico e sommersa da bollette e pagamenti vari da effettuare, la donna s'era seduta sulla poltrona del piccolo soggiorno. Preoccupata, stava pensando di cambiare lavoro e di cercarsi un'altra occupazione che le desse più sicurezza economica, quando squillò il telefono.
«Angela Duvall?» chiese una voce maschile rispondendo al suo "pronto?" «Parlo con Angela Duvall figlia di Margaret Blythe e Owen Duvall?»
Angie si sentì immediatamente presa dall'ansia e da una strana premonizione.
«Sì, sono io,» rispose con voce strozzata. «Con chi sto parlando?»
«Lei non mi conosce signorina,» rispose l'interlocutore. «Mi chiamo John Parker e sono un notaio. Per essere più esatti quello dei suoi genitori... Ma mi scusi,» riprese dopo che non ci fu risposta dall'altro capo del filo «lei non ha letto i giornali?»
«I giornali? N... no... Perché?» Il suo cuore era stretto nel pugno sadico di qualcuno che sembrava trarre godimento da quel dolore. Ma lei già sapeva. Ora ne era sicura.
«Oh, Mio Dio... Angie, mi permette vero di chiamarla per nome?» e senza aspettare la risposta, proseguì: «Non avrei proprio voluto essere io a doverle dare questa notizia, mi creda...» Rimase un momento in silenzio cercando le parole più adatte, quindi continuò cautamente. «Due giorni fa, c'è stato un incidente e...»
Angie rovesciò la testa all'indietro soffocando i singhiozzi, mentre le lacrime le inondavano il viso.
«Non so proprio come dirglielo, ma devo assolutamente metterla al corrente che entrambi i suoi genitori sono deceduti. Stavano recandosi ad una festa quando...»
Il ricevitore, lasciato libero, sbatté contro il ripiano del mobile della cucina mentre la donna, con le mani premute fortemente contro le orecchie, cercava di non sentire.
«Angie! Angie, mi sente?» urlò l'uomo. «Mi risponda per piacere. Angie!»
Con mano malferma riprese la cornetta del telefono, e come in trance rispose: «Sono ancora qui.»
«Bene,» disse il notaio con voce un po' più rilassata. Per un momento aveva temuto che la donna fosse svenuta. «Mi dispiace veramente d'essere stato costretto a darle questa terribile notizia, ma purtroppo, a volte anche questo fa parte del mio lavoro. Ad ogni modo, il motivo per cui le ho telefonato, è per metterla al corrente che lei è l'unica beneficiaria del loro intero patrimonio, che consiste più o meno...»
Sconvolta, Angie rifiutava ancora di sentire. In un attimo rivisse i fatti più salienti della sua vita trascorsa con i genitori: l'infanzia felice, gli abbracci e l'affetto, gli insegnamenti e l'educazione che aveva ricevuto. Ma anche quello di cui gli aveva privati: l'amore e la gioia di veder crescere la loro nipotina. E di questo, si sentiva terribilmente colpevole.
«Ha capito quello che le ho detto?» gridò nuovamente l'uomo, ormai esasperato, dall'altro capo del telefono.
«Sì... anzi no, mi scusi...» rispose, ancora sperando si trattasse di un brutto sogno.
«Va bene, ma questa volta mi ascolti attentamente. Come le ho già detto, lei è l'erede universale di tutti i beni dei suoi genitori e la valutazione approssimativa, è di...» Le elencò una cifra con tanti zeri finali. «... E sarà mia premura venire da lei tra qualche giorno, per farle firmare i documenti necessari.»
Con la mente confusa la donna ringraziò automaticamente, quindi interruppe la comunicazione.